IN VIGORE IL DECRETO LEGGE “TERRA DEI FUOCHI”: CINQUE ANNI DI CARCERE A CHI BRUCIA RIFIUTI

Il provvedimento d’urgenza sulla “Terra dei fuochi” approda finalmente in “Gazzetta” ed in vigore già dall’ 11 dicembre scorso. E’ stato, infatti, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” del 10 dicembre scorso n. 289 ildecreto legge 10 dicembre 2013 n. 136, recante ” Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate”.
La struttura del provvedimento.
Il nuovo provvedimento d’urgenza è strutturato in tre filoni principali. Il primo filone è diretto a reprimere il comportamento incivile di bruciare rifiuti. Il secondo, invece, attiene a una serie di misure dirette ad assicurare la salute pubblica, in relazione alle aree della Campania interessate dal fenomeno. Terzo ed ultimo filone riguarda il risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto.
Il nuovo reato di combustione illecita di rifiuti. Come dicevamo il provvedimento mira, tra l’altro, a reprimere l’incivile comportamento di bruciare rifiuti.
Il precedente quadro normativo.
La tutela penalistica italiana dal pericolo degli incendi era tradizionalmente ancorata, in basso, alle cautele del testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza relative all’accensione dei fuochi e, in alto, a livello di previsioni di delitti di comune pericolo, alle incriminazioni previste dagli articoli 423, 423-bis, 424 e, quanto alle ipotesi aggravate, 425 del Cp. Una protezione penalistica in esplicita funzione di salvaguardia dell’incolumità pubblica, limitata nel fine.
La fattispecie era ed è applicabile solo nell’ipotesi di un incendio tale, per proporzioni e possibilità di sviluppo, da mettere in pericolo, appunto, la pubblica incolumità. Magari a rigore, un’interpretazione del concetto di “incolumità pubblica” tale da risentire dei pericoli e delle lesioni ambientali avrebbe potuto condurre a un allargamento della tutela. Ma il dato di fatto è quello della limitatezza dell’ambito di applicazione delle previsioni codicistiche.
Al di la della messa in pericolo dell’incolumità pubblica, bruciare i rifiuti violava specificamente le disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti, con relativa applicazione del reato contravvenzionale di “Attività di gestione dei rifiuti non autorizzata” (articolo 256 del Codice dell’Ambiente) che prevede:
a) la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
La struttura del delitto.
Oggi viene introdotto il reato ben più grave. La nuova fattispecie criminosa, introdotta con l’articolo 256 bis enuclea lo specifico delitto di “combustione illecita di rifiuti” e lo circoscrive, anzitutto, ai rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate. La condotta materiale è costituita dall’appiccamento del fuoco e non rilevano le dimensioni dell’incendio. La norma prevede una fattispecie aggravata, nel caso di rifiuti pericolosi.
Dall’originaria finalità della previsione codicistica di tutela dell’incolumità pubblica si è andati verso le esigenze di tutela dell’ambiente, in generale.
Si riconosce a livello normativo ciò che è già nel sentito comune; l’accensione anche di un piccolo incendio – ancorché incapace di ledere direttamente la salute pubblica – danneggia l’ambiente nella sua accezione più vasta, in conseguenza soprattutto delle emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera e delle relative ricadute. Quindi anche fenomeni minori sono sottoposti a sanzioni forti dall’ordinamento, che ha dovuto prendere atto delle conseguenze (non meno gravi rispetto alle sanzioni) di incendi anche modesti.
Non è inutile rammentare che la definizione di rifiuto (ex articolo 183 del Codice dell’Ambiente) è rimessa a una valutazione tendenzialmente soggettiva di chi dispone del rifiuto (“«rifiuto»: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”).
L’effetto di quanto riportato (il richiamo ai rifiuti, in generale) fa si che la disposizione dovrebbe trovare applicazione anche rispetto al fuoco acceso per bruciare gli sfalci, le potature e gli avanzi dell’attività agricola in generale. Su questo va ricordato l’articolo 185, comma 1, lettera f ) del Codice dell’Ambiente, nella parte in cui esclude dal novero dei rifiuti la “..paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura e nella selvicoltura”. Tuttavia la disposizione prevede anche che i processi di smaltimento (il fuoco, ad esempio) non danneggino l’ambiente o mettano in pericolo la salute umana.
Si tratta quindi di un esame da compiersi caso per caso, rimesso all’apprezzamento del Giudice e legato anche alla rilevanza dell’intervento, ad esempio alla quantità di vegetazione bruciata.
Lascia qualche perplessità la specificazione, contenuta nella nuova previsione di reato, che limita il delitto ai “rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate”. Per aree autorizzate deve intendersi qualsiasi zona destinata a deposito temporaneo, anche quindi piccoli centri di trasferenza, ovvero gli stessi cassonetti.
L’effetto dell’applicazione di questa disposizione potrebbe essere quello di punire con la (lieve) contravvenzione ex 256 del Codice dell’Ambiente l’appiccamento del fuoco di siti di stoccaggio provvisorio (ad esempio i grandi cumuli di rifiuti a ridosso dei cassonetti che spesso abbiamo visto – purtroppo – nell’area campana) e colpire con il delitto ex 256-bis del Codice chi brucia anche solo una busta di rifiuto nel proprio giardino.



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